RASSEGNA STAMPA

La Repubblica - Le torture dell´inferno Bolzaneto

Genova, 27 febbraio 2008

Solo la mancata ratifica in Italia di norme internazionali che risalgono al 1989 impedisce la condanna sino a 10 anni di carcere "Così torturavano a Bolzaneto" I pm ricostruiscono una notte di vergogna e barbarie Tortura. Quella terribile parola che in Italia non è contemplata nel codice penale, ieri ha fatto irruzione nell´aula del tribunale in cui i pm genovesi stanno pronunciando la requisitoria del processo della caserma di Bolzaneto, la prigione del G8 del 2001. Un lungo resoconto di abusi e umiliazioni inflitte ai reclusi. «Tutto ciò - spiegano i magistrati dell´accusa - è potuto avvenire, come in ogni caso di tortura, grazie a quel meccanismo fatto di omissioni per cui i responsabili non vengono puniti e le vittime terrorizzate hanno paura di denunciare i maltrattamenti subiti. La parola chiave è: impunità».

"Le torture dell´inferno Bolzaneto"
I pm accusano: se esistesse la legge, condanne sino a 10 anni Tutto sotto gli occhi benevoli e compiaciuti dei pubblici ufficiali La non ratifica di norme internazionali e la prescrizione incombono In aula la cruda e terribile cronaca dei fatti del G8 rievocata dai magistrati

MASSIMO CALANDRI
TRATTAMENTI inumani, crudeli. Degradanti. In una parola: torture. Nella caserma di Bolzaneto i rappresentanti dello Stato, quelli che in teoria ci dovrebbero proteggere dai criminali - gli agenti e i carabinieri, i poliziotti della penitenziaria, i generali e i vice-questori - hanno violato tutte le convenzioni internazionali. E prima ancora la loro dignità. Di pubblici ufficiali, di uomini. La procura ha citato quei sette disegni di legge che solo per una questione di tempo non sono ancora stati trasformati in una norma del nostro codice: i colpevoli avrebbero altrimenti rischiato dai quattro ai dieci anni di reclusione. Ma non importa, e al diavolo la prescrizione che tra un anno cancellerà tutto.
Ora contano solo le parole della pubblica accusa, perché nessuno dimentichi. Perché non accada più. Nel corso della requisitoria di ieri, il pm Patrizia Petruzziello ha elencato una serie di episodi. Ed è stata un´esposizione sofferta, dolorosa, sconcertante.
Perché non si è trattato solo delle violenze fisiche subite dai 209 ospite del "centro di detenzione temporaneo". Sappiamo delle dita spezzate ad un giovane no-global. Dei pugni, dei calci, delle manganellate su persone inermi. Delle bruciature con accendini e mozziconi di sigaretta, delle bastonate alle piante dei piedi. Delle teste sbattute contro i muri, del taglio dei capelli. Del "comitato di accoglienza" che faceva passare i poveretti per un corridoio di guardie. E giù botte.
Ma anche le parole, gli insulti, le umiliazioni sono tortura. E´ tortura costringere un ragazzo a mettersi carponi ed abbaiare come un cane, per poi urlare: "Viva la polizia!". E´ tortura obbligarne un altro in piedi in infermeria, nudo, e minacciarlo con un manganello: «Però tutto sommato il comunista non è male. Ci ha un bel corpo, ci ha un bel culo. Quasi quasi me lo farei... sì, perché no? Ce lo possiamo anche fare questo comunista... allarga bene le gambe, compagno, perché ti faccio... ». Lo è impedire ad uno di andare in bagno, perché subisca l´umiliazione di urinarsi addosso e resti con i vestiti sporchi. E´ tortura deridere la ragazza che chiede un assorbente, o mostrare ad una madre le fotografie dei propri figli sogghignando: «Questi non li vedrai per un bel po´». Lo è ordinare di gridare "Che Guevara bastardo", oppure "Viva il duce". Il pubblico ministero ha ricordato che le minacce più frequenti erano nei confronti delle donne: «Entro stasera vi scoperemo tutte», «Avrebbero dovuto stuprarvi tutte come in Kossovo». C´è un ragazzo che in infermeria - nudo - viene fatto appoggiare con la faccia al muro, e un agente gli sussurra all´orecchio: «Ora io faccio l´uomo, e tu la donna».
Sono storie raccontate in aula negli ultimi due anni e con precisi riscontri. Storie rispetto alle quali gli imputati - persone in divisa, vale la pena ripeterlo - hanno risposto con tanti «non ricordo», «non so», «non ho visto». Il pm Petruzziello - con il collega Vittorio Ranieri Miniati - ha ricordato come «nel sito penitenziario di Bolzaneto non sia stata posta in essere da alcun detenuto una condotta di reazione nei confronti dei custodi». Rifacendosi ai parametri indicati dalla Corte Europea dei Diritti dell´Uomo, il magistrato ha spiegato che «i trattamenti provati come inflitti a Bolzaneto sono stati inumani e degradanti». «Tali situazioni si sono potute realizzare per il grave comportamento anche omissivo di pubblici ufficiali, o comunque con il loro consenso tacito o espresso». «Non c´è poi stato un momento o una fase particolare, il trattamento è stato esteso sostanzialmente a tutte le fasi della permanenza dei detenuti». «Sono stati adottati tutti quei meccanismi che vengono definiti di ‘dominio psicologico´ al fine di abbattere la resistenza dei detenuti e di ridurne la dignità». «Tutto ciò è potuto avvenire, come in ogni caso di tortura, grazie a quel meccanismo fatto di omissioni (la negazione delle responsabilità, le mancate indagini da parte dei responsabili delle strutture, l´assenza di punizione degli esecutori materiali) per cui i responsabili non vengono puniti e le vittime terrorizzate hanno paura di denunciare i maltrattamenti subiti. La parola chiave è: impunità».